È uscito da pochissime giorni il trailer del nuovo film di Denis Villeneuve, Dune, ispirato all’omonimo romanzo di Frank Herbert e figlio in una qualche maniera del suo antesignano omonimo del 1984 firmato da David Lynch. Il film ci appare nella sua natura spettacolare, emozionante e avvincente, chiunque comprerebbe il biglietto per vederlo, il motivo non è solo lo spettacolare allo stato puro come di recente accade, ma che lo spettacolo è al servizio di un’emozione più profonda e nascosta, non solo nei suoi personaggi, ma in ognuno di noi spettatori, tocco tipico di Villeneuve. Il progetto di riportare Dune sul grande schermo dopo un cult di quasi quarant’anni che fu un vero disastro ai botteghini è di per sé un’impresa temeraria, come temeraria è l’ampiezza è l’importanza dell’universo fantascientifico creato da Herbert. L’intenzione dei produttori è probabilmente quella di affondare le mani in un nuovo universo fantascientifico che per fascinazione e immaginatività possa competere con il mondo Lucas/Disney, strizzando l’occhio senza tanta modestia allo spazio ora lasciato vuoto dal fenomeno Games of Thrones, e da ciò e da ciò trarre nuova linfa vitale, un quasi fosse la “Spezia” di Arrakis di cui parla il film, per le casse dell’ormai agonizzante industria cinematografica da sala.
Questo Dune, come il predecessore, sarà ambientato in un mondo “altro”, che per estetica richiama più una sorta di mitologico passato dell’umanità, organizzato in regni, tribù e dominii, che a un iperbolico futuro interplanetario. Parte delle riprese si sono svolte in Giordania e la vicenda narrata ha i tratti dell’epopea epica, con grandi battaglie, scontri per il potere tra casati e etnie diverse, figure granitiche di eroi che diventano leggenda, fattori che messi insieme conferiscono una sorta di trascendenza biblica nella lettura della trama e soprattutto del protagonista. Timothée Chalamet vero e proprio fenomeno giovanile cinematografico del momento, nel ruolo protagonista di Paul Atreides, incarna una vicenda di morte e rinascita identitaria del personaggio che nel suo pathos di sofferenza e meditazione, assurge quasi ad emblema cristologico.
Il cast è stato senza dubbio una scelta vincente da parte della produzione, nomi che riescono a far brillare questo titolo anche agli spettatori più miopi, e che si spera riusciranno a creare una certa affluenze di pubblico, in sala.
D’altro canto è proprio la necessità che si è sentita di dover mettere in cartellone sex-symbol del calibro di Momoa, e Chalamet, scelte che puntano sull’ ”acchiappo facile” dei consensi di teen-agers e ragazzine, a far sorgere mille domande. Certamente la trama del omonimo romanzo originale di Herbert ha una articolazione e una complessità difficilmente contenibili per intero nella misura breve (se paragonata alle tre o quattrocento pagine di un romanzo) del singolo film, tant’è che il progetto di Villeneuve prevede due episodi, ma il rischio vero è che per seguire fedelmente le molte sotto trame e i moltissimi personaggi dell’opera letteraria poi si arrivi ad un film che “frastorna” lo spettatore, troppo affastellato di informazioni narrative che complicano la trama, di indizi e identità di personaggi che si fatica a memorizzare.
Nell’interpretare la presenza di questo cast stellato e acchiappa consensi, quindi, il popolo della rete si è subito diviso tra chi ritiene che la scelta possa essere un tentativo della produzione di attirare quanto più pubblico possibile su un film che, volendo rispettare la complessità del romanzo, risulta meno commerciale, e quindi più “rischioso” di come lo si vorrebbe, e chi, all’opposto, pensa che proprio per via dei molti “divi” hollywoodiani si tratterà invece di un film commercialissimo, un blockbuster in piena regola, tutto effettoni speciali e tizi muscolosi a petto nudo, di basso valore autoriale e di impatto spettacolare da lasciare senza fiato. Dubbi che si rafforzano se si pensa che Lynch nell’originale dell’84 aveva fatto fatto la scelta opposta di utilizzare tutti attori poco noti, tranne Sting che però era famoso come musicista, proprio per puntare tutto sulla spettacolarità e il fascino del solo film evitando l’ingombro di nomi di eccessivo richiamo.
E allora cosa dovremo aspettarci un filmone super spettacolare da incassi miliradari o un nuovo cult della fantascienza per cinefili della vecchia guardia? Ovviamente solo lo schermo potrà sciogliere i dubbi.
I critici, poi, si tormentano le notti con mille dubbi sulla qualità “autoriale” del film di Villeneuve. Secondo la letteratura più accreditata, infatti, quello di Lynch è stato un grandioso tentativo di incursione “dell’autorialità” nei domini del film di cassetta. L’incipit sull’immagine dello spazio stellato rimanda a quello di Eraserhead-La Mente Che Cancella, una delle sue opere più allucinatorie in assoluto, e alla scena di Elephant man in cui l’immagine del volto della madre di Jhon che recita Nothing Ever Dies si materializza con un lento fade sull’immagine notturna di un cielo pieno di stelle. Una linea rossa di purissima poetica lynchiana che poi si svilupperebbe lungo tutto il film nelle molte scene di sogno in cui il regista crea una sorta di dimensione parallela a quella in cui i personaggi fisicamente vivono, una “surrealtà” onirica e allucinatoria, di natura psichica, che è la stessa, anche dal punto di vista stilistico, di film come Eraserhead o Twin Peaks- Fuoco Cammina Con Me (e della sua incredibile continuazione seriale). Un film nel film, che sfrutta le strutture del film fantascientifico commerciale per nasconderne uno “d’autore”.
E allora ci si chiede se quello di Villeneuve sarà un prodotto dell’ingegno capace di ripetere una simile impresa, o se invece sarà più propenso, come credono molti, a sottostare alle “regolette” strette imposte dalle produzioni e dalla logica commerciale. A favore di chi crede che sarà un opera forte anche sotto il profilo autoriale va detto che, quando ha messo mano a immaginari preesistenti, come nel caso di Blade Runner di Ridley Scott, Villeneuve si è dimostrato piuttosto incline alla rielaborazione personale, ad esprimersi come autore, piuttosto che come semplice “ripetitore”. Quindi il caso resta aperto.
Blockbuster o nuovo cult fantascientifico? L’ennesima “americanata” con effetti speciali o nuovo caso d’autore in odore di Oscar?
Action Academy vi augura una buona visione.