È approdato nelle sale italiane solamente il 6 settembre Waiting for the Barbarians, ultima apparizione sugli schermi del Festival di Venezia del carismatico Johnny Depp, risalente all’edizione scorsa e Action Academy lo ha visto per voi.
Il sorprendente ultimo film del colombiano Ciro Guerra si confronta per la prima volta con una produzione da cifre a molti zeri e con un cast di calibro internazionale in cui spicca ovviamente l’astro Johnny Depp. Guerra riesce attraverso una cristallina classicità di strutture a comporre una moderna metafora filmica sul concetto della superiorità etnica. Parabola fuori dal tempo, applicabile ad ogni apartheid della storia. Quello che porta in scena Guerra è un universo fordiano, metafora impolverata dell’ “ultima frontiera“, un eremitico forte “dell’impero“, un generico e astratto Impero Occidentale di valore simbolico, sperduto nel profondo deserto a rappresentare l’ultimo avamposto di frontiera tra la civiltà e i “barbari“. Una frontiera ultima, come quella dei film Western, che però nella sua astrattezza generica qui è simbolo di ogni linea di scissione, di ogni linea di demarcazione e discriminazione. Come nel più classico western del grande Ford, come se non bastasse, l’avamposto domina su un villaggio di quelli che genericamente vengono chiamati “barbari“, che non differiscono troppo dai peones messicani che ritroviamo nei film di Leone, lerci e cenciosi, condannati per nascita a una sorte di miseria e subalternità. Il forte e il villaggio, da sempre metafore filmiche delle opposte forze della civiltà (sempre bianca, cattolica e benpensante) e i generici barbari portatori dell’oscurantismo e dell’immoralità.
Sul forte governa con senso umanitario “il magistrato“, magnanimo funzionario dell’esercito, appassionato studioso delle grafie e degli idiomi locali che come amico della cultura dei cosiddetti barbari, riesce a convivere con questi in pacificato equilibrio di reciproco e amichevole regime di scambio. Un mondo ideale di integrazione che va in pezzi con l’arrivo del feroce colonnello Joll, un Depp insolitamente delimitato in una parte che non lo vede protagonista assoluto, ma in cui si dona con generosità da primo attore. L’azzimato e rigoroso colonnello, in nome della civiltà e dell’Impero, impone un feroce regime da Santa Inquisizione, in cui è il terrore a governare e la violenza a imporre il giogo dei dominatori su quei dominati che una volta erano fratelli.
Barbarus in latino significa “straniero, non parlante la lingua di Roma” senza ulteriori accezioni negative. Il senso più profondo di questo film riguarda lo spostamento di senso che avviene quando questo “straniero” viene percepito come portatore di una differenza, di una cultura altra, che minaccia alla nostra identità, e che dobbiamo eliminare, dominare, assimilare a noi anche a costo di usare la forza per necessità auto difensiva.
Il lavoro di Guerra, come dicevo, ha una limpidità da film classico. Il magistrato interpretato da Mark Rylance, con grande sensibilità di sentimento e credibilità, si staglia come simbolo morale assoluto dell’uomo giusto, rispettoso delle differenze che percepisce come arricchimento invece che come minaccia. Si avverte la “portata epica” di questo personaggio che rimanda a quella dei granitici eroi dei film hollywoodiani degli anni 40 e 50, i gangster emblemi d’ogni corruzione e dai tragici destini o gli incorruttibili poliziotti dei Noir, i militari senza macchia e i piloti di caccia senza paura dei film di guerra, i biblici eroi mitici dal cuore generoso dei grandi kolossal storico mitologici.
Johnny Depp contrariamente al solito suo interpreta un cattivo, un cattivo di portata assoluta, e da trasformista qual è si presenta al diverso ruolo con una fisicità completamente riconfigurata, asciugata e smunta, sempre nervosamente contratta nella mandibola quasi digrignante, insolitamente rigido e scattante in movimenti militareschi che stanno esattamente agli antipodi rispetto alle movenze fluide e dinoccolate, caracollanti al punto da parere etiliche, del Capitano Jack Sparrow. Da un certo punto di vista la cosa non stupisce visto che il vulcanico Johnny da tempo ci ha abituati a trasformazioni a dir poco inaspettate che, aldilà delle poco ortodosse mutazioni d’aspetto, hanno sempre comportato per lui anche una completa riscrittura delle sue tecniche vocali e mimiche, ma qui forse c’è qualcosa di più, un qualcosa che attiene al modo con cui tradurre in un linguaggio corporeo nuovo la differente natura morale del personaggio. Le molte trasformazioni d’identità di Depp, il corpulento e violentissimo gangster bostoniano James Joseph Bulger di Black Mass, il giornalista calvo e tossicomane di Paura E Delirio A Las Vegas, il poetico Edward Mani Di Forbice, l’eccentrico Willy Wonka, piuttosto che il grottesco e allucinato vampiro di Dark Shadows, tutti hanno in comune con l’acrobatico Jack Sparrow il fatto di essere personaggi in qualche modo “sovversivi“, anarchici che si muovono all’interno di un sistema personale di regole che li collocano al di fuori o al di sopra o ai margini dell’ordinario, della regola anche comportamentale di chi è soggetto alla legge comune.
Un aspetto di non ordinarietà comune a tutti i personaggi cui sinora ha prestato il corpo che da sempre giustifica la ricerca espressiva di Depp, sempre mossa nella direzione di una fisicità “libera“, quasi funambolesca, a volte poetica, con posture vistosamente alterate, pensate a Sparrow o a Willy Wonka, o alla mimica quasi ballettistica di Edward Mani di forbice o ancora a quella di Bulger, così ostentatamente “virilistica” e violenta. In questo senso, allora il colonnello Joll di Waiting for the Barbarians è veramente l’ultimo e più estremo travestimento di questo virtuoso del trasformismo, perché nella mutata attitudine corporea, fatta di gesti rigidi e militareschi roboticamente disciplinati e di una contrazione continua dei muscoli del volto che gli conferiscono una smorfia sdegnata e odiosa, rivela la differente natura di questo personaggio. A differenza di quelle creature surreali e anarchiche che sino ad oggi ha incarnato questo personaggio, infatti, è espressione del rigore, della rigida subordinazione alla regola, una incarnazione antropomorfa dell’idea assoluta della “legge“. Ed è proprio questa la rigidità, il rigore geometrico, che informa la sua gestualità, quella del dogma, della regola assoluta, che induce la mancanza di libertà negli uomini come nel gesto forzatamente rigoroso e rigido.
Una prova d’attore splendida per Johnny Depp, che ancora una volta si dimostra capace di sovvertire ogni precedente presupposto della sua poetica per dare vita a creazioni attoriche sorprendenti e che in più è incastonata in una prova filmica di cristallina bellezza classica, da epica fordiana, segnata da una fotografia di grande suggestività, riarsa ed assolata ma nitidissima dei colori, insomma un film che ad Action Academy piace non poco e che li consigliamo vivamente di vedere.